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Fare impresa in Italia è difficile e complicato.

21 Gennaio 2018

Molti imprenditori sostengono che è difficile fare impresa in Italia. È d’obbligo chiedersi il perché. Ne parliamo con il dott. Daniele di Cavolo, presidente di Fin Consorzio, il quale inizia analizzando il termine “difficile”.

Dal suo punto di vista e in base alla sua esperienza, sostiene che difficile è un termine relativo, infatti se una cosa si è capaci di farla è facile, ma se la stessa cosa non hai la minima idea da dove cominciare è decisamente difficile.

Ciò detto, torniamo al “fare impresa in Italia”.

Bisogna a suo giudizio, analizzare il problema sotto due aspetti: Il primo riguarda l’imprenditore e le sue capacità intrinseche; il secondo riguarda il contesto nazionale con le sue leggi e regole a cui l’imprenditore deve attenersi e con le quali deve misurarsi. Partendo dal presupposto che gli imprenditori abbiano tutti le capacità di fare impresa, parliamo di cosa vuol dire per un imprenditore, sviluppare economia nel sistema Italia.

L’Italia è un paese con un elevato debito pubblico e con esso deve fare i conti ogni impresa che qui opera, un giusto approccio al problema dovrebbe partire da quelle riforme istituzionali che non si riescono a varare e che darebbero fiducia ai mercati.

Infatti, prosegue il Dott. Daniele Di Cavolo, l’esito negativo del referendum sulle riforme costituzionali del dicembre scorso, ha aumentato il clima di incertezza politica, ma il processo di riforme deve essere portato avanti se l’Italia vuole costruire una società più inclusiva e migliorare le prospettive di crescita”.

Il no “rischia di rallentare il processo di riforme, facendo diminuire le prospettive di crescita e rendendo più difficile il risanamento dei conti”.

Sarebbe stato un inizio, perché per avviare quelle riforme che servono in Italia, e che incidono pesantemente sulle imprese bisogna partire dallo snellimento della burocrazia. Gli adempimenti burocratici costituiscono un costo per le PMI sia in tempo che in danaro, basti considerare che le micro e piccolissime imprese spendono, ogni anno, circa 30 miliardi per assolverli.

Altra nota dolente è la riforma fiscale.

È di vitale importanza partire dalla riduzione della pressione fiscale ferma al 42%, tra le maggiori in Europa. L’eccessivo costo del lavoro è un deterrente sia per le imprese che per i lavoratori, ritengo che la reintroduzione dei Voucher per regolare i rapporti di lavoro non tradizionali costituiva un piccolo passo avanti nella lotta al lavoro sommerso.

Occorre un sistema di welfare che non determini il ricorso a misure emergenziali per le imprese ma che sia consolidato e duraturo nel tempo, il cambio delle regole ad ogni legislatura procura incertezze e non favorisce lo sviluppo.
Se a queste problematiche si aggiunge anche l’eccessivo ritardo nei pagamenti da parte delle Pubblica Amministrazione ci si trova di fronte ad un ambiente ostile  alle imprese.

L’Italia è dunque ancora lontana dai limiti imposti dalla direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che impone alla P.A. di pagare i propri fornitori entro 30 giorni (o 60 giorni in alcuni casi) dalla data di emissione della fattura.

Infine, ma non ultimo, il rinnovamento del sistema bancario e creditizio che, anche secondo il rapporto di Bankitalia , incontrano significative difficoltà nell’accesso al credito soprattutto per le piccole imprese che devono fare fronte ad un deficit di liquidità con conseguenti tagli agli investimenti. Lo stesso discorso coinvolge le start up messe in campo dai giovani.

Il Dott. Daniele Di Cavolo conclude dicendo che bisogna essere ottimisti e propositivi, nella speranza che le proposte formulate dalle Associazioni di industriali e Confcommercio vengano recepite dalla politica e che si traducano in azioni e provvedimenti concreti capaci di dare un serio slancio alla nostra economia.

(Ufficio stampa Fin Consorzio)